Diciamolo subito: la musicologia moderna non vive più di sole “impressioni d’ascolto” o di aneddoti tramandati. Oggi la differenza la fa chi sa lavorare con i dati. E quando parliamo di dati, intendiamo tutto: dalle misure di una legatura in un manoscritto fino all’analisi spettrografica di un inchiostro antico.
In questi anni abbiamo affinato strumenti e routine per portare la ricerca musicale su un altro piano: quello della verifica oggettiva. Non è questione di moda, ma di metodo. Prendi ad esempio i lavori su Mozart che abbiamo pubblicato:
– “Mozart's So-Called Thematic Catalogue: Forensic Evidence of a Posthumous Forgery” (Zenodo DOI: 10.5281/zenodo.15676595).
– Le revisioni condivise su Zenodo e i dataset messi a disposizione della comunità;
– Le analisi dei manoscritti con software custom sviluppato in C++, Rust, Python, e integrato con Qt per l’interfaccia scientifica.
La scienza non si ferma davanti alle convenienze editoriali: i dati veri, prima o poi, saltano sempre fuori.
Il punto di forza è che qui nessun algoritmo è una “scatola nera”: ogni routine, ogni codice sorgente è pubblico e documentato. La trasparenza è la miglior difesa contro la bufala, e la collaborazione scientifica si fa sulle fonti, non sui passaparola.
«Nessuna verità teme la verifica. Il dato non ha partito: o è, o non è.»
Qualche esempio concreto? L’analisi degli inchiostri ferro-gallici applicata ai manoscritti di Mozart, la ricostruzione digitale dei ductus, la segmentazione delle parole in Kurrent, la visualizzazione dei dati RGB delle triplette di inchiostro per riconoscere una mano diversa… Ogni funzione nasce da una domanda di ricerca reale.

E se il software trova un’anomalia dove “gli esperti” vedevano normalità? Tanto meglio: significa che la ricerca serve ancora a qualcosa. La musicologia, qui, non è mai solo teoria: è laboratorio, verifica e – quando serve – debunking critico.
In un’epoca in cui l’“opinione” spesso vale più del dato, è ora di rimettere il dato al centro. La storia della musica ringrazia (prima o poi).